L'analisi dei documenti

Preparare un testo

Leggi con attenzione due documenti relativi alla traccia “La ricerca della felicità” del 2010 e poi rispondi alle domande.

«Nonostante le molte oscillazioni, la soddisfazione media riportata dagli europei era, nel 1992, praticamente allo stesso livello di 20 anni prima, a fronte di un considerevole aumento del reddito pro capite nello stesso periodo. Risultati molto simili si ottengono anche per gli Stati Uniti. Questi dati sollevano naturalmente molti dubbi sulla loro qualità e tuttavia, senza entrare nel dettaglio, numerosi studi provenienti da altre discipline come la psicologia e la neurologia ne supportano l’attendibilità. Citiamo solo la critica che a noi pare più comune e che si potrebbe formulare come segue: in realtà ognuno si dichiara soddisfatto in relazione a ciò che può realisticamente ottenere, di conseguenza oggi siamo effettivamente più felici di 20 anni fa ma non ci riteniamo tali perché le nostre aspettative sono cambiate, migliorate, e desideriamo sempre di più. Esistono diverse risposte a questa critica. In primo luogo, se così fosse, almeno persone nate negli stessi anni dovrebbero mostrare una crescita nel tempo della felicità riportata soggettivamente. I dati mostrano invece che, anche suddividendo il campione per coorti di nascita, la felicità riportata non cresce significativamente nel tempo. Inoltre, misure meno soggettive del benessere, come la percentuale di persone affette da depressione o il numero di suicidi, seguono andamenti molto simili alle risposte soggettive sulla felicità e sulla soddisfazione. Ma allora cosa ci rende felici?»

Mauro MAGGIONI e Michele PELLIZZARI, Alti e bassi dell’economia della felicità, «La Stampa», 12 maggio 2003


«Il tradimento dell’individualismo sta tutto qui: nel far creder che per essere felici basti aumentare le utilità. Mentre sappiamo che si può essere dei perfetti massimizzatori di utilità anche in solitudine, per essere felici occorre essere almeno in due. La riduzione della categoria della felicità a quella della utilità è all’origine della credenza secondo cui l’avaro sarebbe, dopotutto, un soggetto razionale. Eppure un gran numero di interazioni sociali acquistano significato unicamente grazie all’assenza di strumentalità. Il senso di un’azione cortese o generosa verso un amico, un figlio, un collega sta proprio nel suo essere gratuita. Se venissimo a sapere che quell’azione scaturisce da una logica di tipo utilitaristico e manipolatorio, essa acquisterebbe un senso totalmente diverso, con il che verrebbero a mutare i modi di risposta da parte dei destinatari dell’azione. Il Chicago man – come Daniel McFadden ha recentemente chiamato la versione più aggiornata dell’homo oeconomicus – è un isolato, un solitario e dunque un infelice, tanto più egli si preoccupa degli altri, dal momento che questa sollecitudine altro non è che un’idiosincrasia delle sue preferenze. [...] Adesso finalmente comprendiamo perché l’avaro non riesce ad essere felice: perché è tirchio prima di tutto con se stesso; perché nega a se stesso quel valore di legame che la messa in pratica del principio di reciprocità potrebbe assicuragli.»

Stefano ZAMAGNI, Avarizia. La passione dell’avere, Bologna 2009


Domande guida per la stesura del saggio breve o dell’articolo di giornale

1) Qual è la tesi fondamentale del testo di Maggiorini e Pellizzari?

2) Qual è la tesi fondamentale del testo di Zamagni?

3) Sono riportati dei dati statistici utili?

4) Noti possibili rimandi da un testo all’altro? Se sì, quali?

5) Hai sentito posizioni autorevoli rispetto agli argomenti trattati?

6) Esponi le tue osservazioni o i tuoi commenti.


Suggerimenti

1) Sia le indagini psicologiche, sia i dati statistici rilevanti (depressioni, suicidi) non hanno evidenziato un aumento della felicità negli ultimi vent’anni a fronte di un aumento del benessere.

2) L’utilitarismo (e quindi l’avarizia) non porta la felicità in quanto nega la reciprocità, e quindi il legame umano necessario ad essere felici. Quindi l’avaro non è razionale.

3) Nel primo brano sì (la costanza delle statistiche di depressioni e suicidi), senza però fornire dati numerici.

4) Il secondo testo tenta di dare una spiegazione alla domanda lasciata aperta dal primo.

5) e 6) Risposte aperte.


Citazioni letterali oppure no?

Leggi con attenzione questo documento, relativo alla traccia “Piacere e piaceri” del 2010, e poi rispondi alle domande.

«Piacer figlio d’affanno;

gioia vana, ch’è frutto

del passato timore, onde si scosse

e paventò la morte

chi la vita abborria;

onde in lungo tormento,

fredde, tacite, smorte,

sudàr le genti e palpitàr, vedendo

mossi alle nostre offese

folgori, nembi e vento.


O natura cortese,

son questi i doni tuoi,

questi i diletti sono

che tu porgi ai mortali. Uscir di pena

è diletto fra noi.

Pene tu spargi a larga mano; il duolo

spontaneo sorge: e di piacer, quel tanto

che per mostro e miracolo talvolta

nasce d’affanno, è gran guadagno. Umana

prole cara agli eterni! assai felice

se respirar ti lice

d’alcun dolor: beata

se te d’ogni dolor morte risana.»


Giacomo LEOPARDI, La quiete dopo la tempesta, vv. 32-54 (in G. Leopardi, Canti, 1831)



Domande

1) Riporta in un’ipotetica citazione non letterale di due righe l’idea del piacere qui espressa da Leopardi.

2) Identifica due citazioni letterali di non più di due versi che potresti utilizzare nel tuo testo.

3) In generale, credi che sia opportuno citare questo documento riportando passi letterali oppure no?


Suggerimenti

Le seguenti risposte servono solo per un confronto: altre opzioni sono possibili.

1) Nella Quiete dopo la tempesta Leopardi esprime un’idea negativa di piacere, ossia esso viene privato di una qualità ontologica e viene definito soltanto come cessazione del dolore.

2) Per esempio: «Piacer figlio d’affanno» e «Uscir di pena/ è diletto fra noi».

3) Trattandosi di una poesia di un autore significativo, è bene utilizzare anche citazioni letterali.