Capitolo 6

Carlo Magno e il feudalesimo

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Lezione 1

Il Regno dei franchi

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I franchi si convertono alla fede cattolica

I franchi erano uno dei tanti popoli germanici che si erano stanziati nei territori dell’Impero romano d’Occidente. Nel V secolo, sotto la guida di Meroveo, essi avevano costituito un regno romano-germanico tra la Gallia settentrionale e le regioni del basso Reno (gli odierni Paesi Bassi). Nel 496 il loro re Clodoveo (481-511), abbandonò il paganesimo e si convertì alla fede cattolica. Questa scelta ebbe una grande importanza politica per due ragioni. Rese più forte il regno perché i franchi professavano la stessa religione della popolazione gallo-romana sottomessa; inoltre, da quel momento i franchi furono i più fedeli alleati del papa.

I franchi espandono il loro regno

Tra la fine del V secolo e il VI secolo i franchi combatterono con successo contro visigoti e alamanni; il loro regno ormai si estendeva sui territori oggi compresi tra Francia, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera e Germania occidentale.

Come tutti i re germanici, anche i re franchi consideravano il regno una proprietà personale: alla loro morte, il regno veniva diviso tra gli eredi maschi. Spesso gli eredi entravano in lotta tra loro, e così la potenza del regno si indeboliva. Fu quello che successe alla morte di Clodoveo, avvenuta nel 511: il grande regno fu diviso tra i suoi figli. Nacquero i regni di Austrasia, Neustria, Borgogna e Aquitania, ognuno con un proprio sovrano.

I carolingi prendono il potere

I successori di Clodoveo furono dei sovrani deboli e vennero perciò detti “re fannulloni”. Di fatto il potere fu esercitato dai maestri di palazzo o “maggiordomi”, grandi proprietari terrieri e alti funzionari della corte del re.

I maestri di palazzo del Regno di Austrasia si mostrarono particolarmente abili: uno di loro, Pipino di Héristal, nel 687 ricostruì l’unità del Regno dei franchi. Alla sua morte gli succedette nella carica di maestro di palazzo il figlio Carlo Martello. Carlo consolidò il suo potere e nel 732 a Poitiers sconfisse un esercito arabo proveniente dalla Spagna. Infine, Pipino il Breve, figlio di Carlo, depose l’ultimo sovrano merovingio. Nel 751 si fece proclamare re e diede inizio a una nuova dinastia, che verrà in seguito chiamata dei carolingi, dal nome del suo più importante sovrano: Carlo Magno.

Nasce il primo nucleo dello Stato della Chiesa

Pipino aveva bisogno di essere riconosciuto re da un’autorità superiore e chiese quindi appoggio al papa. Papa Stefano II si recò in Francia per incoronarlo; in cambio chiese e ottenne l’aiuto dei franchi contro i longobardi.

Il re longobardo Astolfo, infatti, stava cercando di sottomettere tutta l’Italia: aveva già conquistato i territori bizantini attorno a Ravenna (l’“Esarcato”) e minacciava il Lazio. Chiamato dal papa, nel 754 Pipino il Breve scese in Italia con un forte esercito e dopo un’aspra lotta sconfisse Astolfo. I territori dell’Italia centrale sottratti dai franchi ai longobardi vennero donati da Pipino al papa: Roma e il Lazio, le città sulla costa adriatica da Ancona a Rimini e l’Esarcato di Ravenna, che comprendeva anche Bologna e Ferrara, costituirono il Patrimonio di San Pietro, primo nucleo del futuro Stato della Chiesa.

Lezione 2

Carlo Magno e il Sacro romano impero

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Carlo Magno espande i confini del Regno franco

Dopo la morte di Pipino nel 768, il Regno franco passò nelle mani del figlio Carlo, che per l’importanza delle sue imprese fu detto “Magno” (in latino “grande”). In quarantasei anni di regno e di guerre, Carlo Magno riuscì quasi a raddoppiare l’estensione dei territori del regno. Carlo sconfisse i sàssoni che occupavano la Germania nord-orientale. Vinse i bàvari, abitanti dell’odierna Baviera. La campagna militare contro gli àvari, un popolo seminomade che viveva di razzìa ai confini orientali del regno, fruttò un enorme bottino che venne trasportato con decine di carri. Carlo si spinse anche in Spagna, occupata dagli arabi, fino al fiume Ebro.

In Italia, Carlo strinse dapprima un’alleanza con i longobardi, sposando la principessa Ermengarda, figlia di re Desiderio. Ma, nel 774, discese nuovamente nella penisola con il suo esercito e pose fine al dominio longobardo nell’Italia settentrionale. Dopo quest’altra impresa di Carlo, l’Italia era dunque così divisa:

  • il nord era sotto il dominio franco;
  • il centro era governato dal papa;
  • il sud era ancora in parte nelle mani dei bizantini e in parte (Ducato di Benevento) nelle mani dei longobardi.

I possedimenti dei franchi erano ormai molto vasti: andavano dalla Spagna al mar Baltico, dal Mediterraneo al Mare del Nord: si era costituito un dominio che poteva essere definito un “impero”.

Nasce un nuovo impero nel cuore dell’Europa

Il giorno di Natale dell’anno 800 a Roma il papa Leone III incoronò Carlo “imperatore dei romani”. Dopo secoli, in Europa era rinato un impero, che si ispirava a quello romano e cristiano di Costantino e Teodosio. Infatti Carlo Magno proteggeva Roma e la sua Chiesa: riteneva che la religione fosse un elemento che poteva tenere uniti i popoli dell’Impero. Egli non era solo un conquistatore, ma anche un evangelizzatore, perché favoriva – o imponeva con la forza – la conversione dei popoli vinti al cattolicesimo. Il nuovo impero venne perciò detto “sacro” perché consacrato dalla benedizione del papa ed è chiamato dagli storici Sacro romano Impero.

Nell’Impero di Carlo sono presenti le culture dell’Europa di oggi

L’Impero di Carlo unificò sotto uno stesso potere politico e un’unica cultura molti territori e popolazioni diverse. Questi territori e queste popolazioni, di origini latina, germanica e slava, sono il nucleo fondamentale dell’attuale Europa. Le parole “Europa” ed “europei” cominciarono a essere utilizzate proprio in documenti dell’VIII secolo. Nell’Impero di Carlo si fondevano diverse eredità:

  • la cultura latina e l’ammirazione per la passata grandezza di Roma; la lingua latina continuò a essere usata come lingua della cultura, mentre le popolazioni di numerose aree dell’Impero parlavano lingue derivate dal latino: francese, italiano, spagnolo ecc.;
  • il cristianesimo, la religione che unificava tutti i popoli dell’Impero;
  • la cultura germanica, cioè le lingue, le abitudini, i modi di vivere e di governare dei popoli cosiddetti “barbari”.

Il centro politico e culturale dell’Europa non si trovava più sul Mediterraneo, ormai terra di confine con gli arabi, ma sul Reno, il fiume che per secoli aveva rappresentato il confine tra i romani e i “barbari”.

L’Impero carolingio si basa su rapporti personali di fedeltà

A differenza dell’Impero romano, l’Impero di Carlo Magno non possedeva una vera e propria organizzazione amministrativa.

Il territorio era diviso in contee, che l’imperatore affidava ai conti. Questi ultimi erano i suoi compagni d’armi, che gli giuravano fedeltà e in suo nome amministravano la giustizia, riscuotevano i tributi e reclutavano i soldati in caso di guerra. Quando una contea si trovava nei pressi di un confine e doveva essere protetta dai pericoli di un’invasione straniera, prendeva il nome di marca ed era affidata a un marchese, un capo con ampi poteri militari.

I conti e i marchesi erano i vassalli del re, cioè i suoi uomini fedeli. Quando uno di loro moriva, l’imperatore lo sostituiva con un’altra persona di sua fiducia. L’organizzazione politica dell’Impero era quindi basata sul rapporto di fedeltà e di dipendenza tra il re e i suoi vassalli. I vassalli dell’Impero potevano essere anche religiosi, vescovi e abati, che proprio come i conti ricevevano dall’imperatore il compito di amministrare un territorio o addirittura di seguirlo in battaglia durante le campagne militari. Le contee e le marche erano abbastanza autonome e avevano proprie leggi e istituzioni. L’Impero era composto quindi da tanti piccoli poteri autonomi, che solo l’autorità e il prestigio dell’imperatore riuscivano a tenere assieme. L’imperatore passava la maggior parte del suo tempo viaggiando con la sua corte da un dominio all’altro e controllando conti e marchesi. Non esisteva neppure una vera e propria capitale dell’Impero, anche se Aquisgrana (l’odierna Aachen, nella Germania occidentale) era uno dei luoghi di soggiorno prediletti da Carlo.

Carlo si serve di funzionari per controllare i territori dell’Impero

Per controllare e amministrare i propri domini, però, non era sufficiente che Carlo viaggiasse continuamente, perché l’Impero era molto vasto. L’imperatore allora si faceva aiutare da alcuni funzionari con mansioni particolari: si chiamavano missi dominici, che in latino vuol dire “inviati del signore”.

Questi funzionari dovevano sorvegliare i territori dell’Impero e informare l’imperatore su quanto accadeva. Ogni anno, all’inizio della primavera, l’imperatore convocava un’assemblea alla quale erano tenuti a partecipare tutti i suoi più importanti vassalli. In questa occasione venivano annunciati i progetti delle campagne militari e si emanavano quelle leggi, dette capitolari, che per volontà del sovrano erano valide in tutti i territori dell’Impero.

Carlo favorisce la rinascita della cultura

Carlo Magno era convinto dell’importanza della cultura. Egli infatti aveva bisogno che i governanti da lui scelti fossero colti e istruiti, per applicare le leggi e fare le scelte giuste. Egli quindi raccolse attorno a sé dotti di ogni nazione e costituì con essi la Scuola palatina, cioè “del palazzo”.

Inoltre, stabilì che nei vescovadi e nei monasteri si aprissero delle scuole in cui si insegnava a leggere, scrivere e far di conto. Si appoggiò alle sedi religiose sia perché erano già centri culturali importanti, e spesso gli unici presenti, sia per la loro larga diffusione, che permetteva quindi di avere una scuola in ogni regione dell’Impero.

Sotto il regno di Carlo nacque anche un nuovo tipo di scrittura, più facile da leggere, che si chiamò scrittura “carolina”.

In questa miniatura risalente al IX secolo Carlo Magno (sulla sinistra) è posto di fronte a una delegazione di conti che attendono con deferenza la sua parola.

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Lezione 3

Il feudalesimo

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Il rapporto tra l’imperatore e i suoi vassalli è alla base del feudalesimo

Come abbiamo visto, l’imperatore aveva diviso il territorio in contee che venivano amministrate autonomamente dai vassalli.

Il vassallo prestava un giuramento di fedeltà al sovrano: si impegnava per tutta la vita a difenderlo e a servirlo. Questo rapporto di fedeltà al proprio signore era detto vassallaggio. Il giuramento di fedeltà era un vero e proprio rito, chiamato investitura.

In cambio, il vassallo otteneva dal suo signore un territorio e la sua protezione. Il territorio assegnato dall’imperatore al vassallo era chiamato feudo, e chi lo governava era chiamato feudatario. Per questo il sistema di potere nel Sacro romano Impero, una rete di rapporti personali che legava signori e loro sottoposti, venne detto dagli storici “feudale” o “feudalesimo”. Al tempo di Carlo Magno, però, i vassalli non erano proprietari del feudo: lo avevano solo in concessione. Questo significa che alla morte di un vassallo il feudo non passava a suo figlio, ma tornava al signore. Era eventualmente il signore a decidere di riaffidare il feudo al figlio del vassallo, ma questo doveva rinnovare il giuramento di fedeltà. Il vassallaggio si richiama a due diverse tradizioni. Presso i franchi, un guerriero si poneva alle dipendenze di un signore, gli giurava fedeltà, gli forniva aiuto militare e in cambio riceveva il possesso di terre. Nel diritto romano, invece, vi era il beneficio, che indicava proprio una terra concessa non in proprietà ma solo per un certo periodo di tempo. L’unione delle due tradizioni diede origine al vassallaggio.

Il vassallaggio regola anche i rapporti tra i nobili

Il vassallaggio non regolava solo i rapporti tra l’imperatore e i suoi vassalli, ma anche quelli tra tutti i nobili. Infatti, i vassalli a loro volta potevano avere sotto di sé altri nobili, chiamati valvassori e valvassini, ai quali chiedevano fedeltà in cambio di porzioni di territorio da governare.

Questi ultimi, a loro volta, potevano affidare parti del loro feudo ai signori locali, che si sottomettevano alla loro autorità.

La società feudale è una società senza Stato

Il feudalesimo, organizzazione del potere tipica dell’Impero carolingio, non nasce dal nulla. Nel periodo che precede e segue la caduta dell’Impero romano d’Occidente, questo tipo di rapporti personali si diffonde sempre più. Dopo il V secolo, infatti, in Occidente l’autorità statale era molto indebolita o addirittura non esisteva più e, nei vari regni romano-germanici, la vita dei gruppi sociali più deboli, in mancanza di uno Stato che facesse rispettare le leggi, si svolgeva in un clima di grande insicurezza. I contadini senza terra, gli artigiani fuggiti dalle città, i piccoli mercanti diventati poveri per la crisi dei commerci avevano cercato protezione nelle curtes.

Qui avevano affidato la propria sicurezza personale ed economica nelle mani dei grandi proprietari terrieri, rinunciando ai propri beni e talvolta anche alla propria libertà, diventando servi della gleba.

Già da diversi secoli, quindi, la società si fondava non sull’autorità di un governo e sulla certezza delle leggi, ma sui rapporti privati di protezione, di obbedienza e di fedeltà. Carlo Magno utilizzò questa organizzazione della società per costruire il sistema di governo del suo impero.

I tre ordini: al vertice della società è il clero

I legami di vassallaggio e di dipendenza personale divennero sempre di più il cemento della società. Nella società feudale vi erano tre gruppi principali: il clero, l’aristocrazia e i contadini. I tre gruppi sociali, detti anche ordini, erano molto diversi per condizione economica e per prestigio.

Il gruppo più importante era il clero (gli oratores, cioè “coloro che pregano”): vescovi, preti, abati e monaci. Essi non si occupavano solo delle questioni religiose e del culto, ma avevano anche funzioni politiche. I vescovi infatti erano spesso i capi politici, i signori delle città. I vescovati e le abbazie erano inoltre proprietari di vasti territori: il clero disponeva quindi anche di un notevole potere economico. Altro compito molto importante del clero era quello di trasmettere la cultura.

Vi è chi combatte e chi lavora

Il secondo gruppo era l’aristocrazia (i bellatores, “coloro che combattono”). Era formata dai capi dell’esercito e dai grandi proprietari terrieri non religiosi. Facevano parte dell’aristocrazia i cavalieri, cioè coloro che combattevano a cavallo. L’aristocrazia deteneva la maggior parte dei feudi: per questo motivo l’aristocrazia controllava il potere politico. Al posto più basso della società feudale si trovavano i contadini (i laboratores, “coloro che lavorano”). A loro toccava coltivare i terreni dei signori feudali e, di fatto, provvedevano al mantenimento dell’intera società.

Questa suddivisione sociale rimase quasi invariata nel corso dell’Alto Medioevo. Il commercio e l’artigianato, infatti, avevano poca importanza nella vita economica altomedievale: erano attività cittadine, quasi scomparse con la crisi delle città. Soltanto dopo l’anno Mille, con la rinascita delle città, si svilupperà un nuovo e importante ceto produttivo, che metterà in crisi la struttura sociale ed economica del sistema feudale e darà origine alla borghesia.

La Chiesa limita la violenza dei cavalieri

Nel corso del IX secolo (per ragioni che analizzeremo nella prossima lezione), i feudi divennero ereditari, trasformandosi in un possesso che passava dal padre al primogenito. I figli minori, chiamati cadetti, erano invece esclusi dall’eredità. Ai cadetti restavano allora due possibilità: entrare a far parte del clero o cercare di guadagnare un proprio feudo sottomettendosi all’autorità di un altro signore. Chi non riusciva a seguire nessuna di queste due strade conduceva una vita errabonda: diventava un cavaliere senza terra, che esercitava la rapina e il brigantaggio per sopravvivere.

I cavalieri fuorilegge erano un pericolo per la società. La Chiesa intervenne per limitare le loro violenze. Stabilì dei periodi in cui era vietato usare le armi e favorì la diffusione di una cerimonia, l’investitura a cavaliere, per attribuire loro un soddisfacente ruolo sociale. Le energie e le ambizioni dei cadetti cavalieri furono così spostate verso imprese considerate degne, come la difesa dei poveri o, al tempo delle crociate, la lotta contro i musulmani.

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FIGURE DELLA STORIA

La dura vita del contadino medievale

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La giornata nei campi era lunga e faticosa. Si lavorava dall’alba al tramonto sfruttando ogni ora di sole, e la stagione più impegnativa era l’estate.

La vita del contadino medievale era regolata dal ciclo del sole. Al risveglio, all’alba, dopo aver indossato una camicia (solitamente di lana grezza) e delle brache strette in vita da una cintura, si infilava gli zoccoli di legno ed era pronto ad affrontare la giornata. Durante l’estate il contadino passava anche 13-14 ore al giorno nei campi, utilizzando strumenti rudimentali come zappe, vanghe e falcetti. Il suo aratro, per esempio, che era di legno e sprovvisto di ruote, dissodava a fatica la terra, e il bue che lo trascinava doveva essere pungolato continuamente affinché non si fermasse.

La stagione invernale, invece, era molto più tranquilla. I campi a riposo non necessitavano di molte cure e il contadino poteva dedicarsi alla manutenzione degli attrezzi di lavoro e alla produzione di piccoli oggetti come vasi o ceste di vimini. Ritornava a casa prima del tramonto, per cenare quando ancora c’era luce: le candele erano un lusso riservato ai signori!

IL PRANZO, LA CENA, LA FAMIGLIA
I contadini mangiavano soprattutto legumi e cereali, mentre la carne arrivava sulla tavola raramente.

La mattina il contadino lasciava qualche esca nei pressi del bosco, con la speranza di catturare una lepre da arrostire per la cena. La carne era infatti un alimento raro sulla sua tavola: fatta eccezione per il pollame e i maiali, gli animali domestici erano per lui solo un valido aiuto nel suo lavoro e la caccia era un’attività riservata ai signori. Quando arrivava mezzogiorno il contadino si concedeva una pausa per rifocillarsi: cercava rifugio all’ombra di un albero e consumava il suo pasto: un pezzo di pane nero, qualche carota, magari una cipolla e un pezzo di lardo. Il tutto accompagnato da un po’ di vino allungato con l’acqua.

La sera controllava le esche posate la mattina e raccoglieva la legna per il fuoco. Tornato a casa, che era costituita da un’unica stanza con un focolare e un tavolo grezzo, il contadino cenava con sua moglie e i suoi figli, che solitamente non erano più di due o tre per famiglia, consumando soprattutto minestre di legumi o cereali. Di notte, per combattere il freddo, il contadino e la sua famiglia condividevano un unico grande letto di paglia e nella casa dormivano anche gli animali domestici!

I GIORNI DI FESTA
Il lavoro nei mansi regolava la vita nella curtis. Non mancavano però le occasioni speciali e le feste che coinvolgevano tutta la comunità.

Il contadino conduceva una vita dedita al lavoro, ma c’erano eventi eccezionali che animavano le sue giornate. L’arrivo di personalità importanti in visita al signore era uno di questi. La processione di cavalieri, vescovi e uomini armati riscuoteva l’interesse di tutta la comunità, che si riversava per le strade ad assistere allo spettacolo. C’erano poi le ricorrenze come le messe domenicali, le feste religiose o quelle della vendemmia e della mietitura del grano. Allora il contadino sfoggiava il suo vestito migliore. Oltre all’abito da lavoro, che era macchiato, rattoppato e spesso infestato da pulci e pidocchi – si usava la lana, molto difficile da lavare –, il contadino ne possedeva un altro conservato con più cura. Anche il vestito delle feste, però, era, come quello da lavoro, di un indefinito colore grigio-giallastro: gli abiti colorati erano infatti riservati ai nobili, dal momento che le operazioni di tintura erano molto costose.

IL CAPITOLO 6 IN BREVE

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Lezione 1

Il Regno dei franchi

Nel V secolo il re dei franchi Clodoveo, della dinastia dei Merovingi, si converte alla fede cattolica ed espande i confini del regno sui territori oggi compresi tra Francia, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera e Germania occidentale.

I suoi successori sono sovrani deboli chiamati “re fannulloni”, e il potere viene esercitato dai maestri di palazzo o “maggiordomi”, grandi proprietari terrieri e alti funzionari della corte del re. Uno di loro, Pipino di Héristal, nel 687 riunifica il Regno dei franchi; il figlio, Carlo Martello, nel 732 sconfigge un esercito arabo a Poitiers.

Pipino il Breve, figlio di Carlo, depone l’ultimo sovrano merovingio e dà inizio alla dinastia dei Carolingi. Pipino viene incoronato re dal papa e, in cambio, muove guerra contro i longobardi, riconquista i territori dell’Italia centrale e li dona al papa.

Lezione 2

Carlo Magno e il Sacro romano Impero

Alla morte di Pipino, il potere passa al figlio Carlo Magno. Carlo Magno riesce quasi a raddoppiare l’estensione del regno e, nel 774, pone fine al dominio longobardo nell’Italia settentrionale.

Il giorno di Natale dell’anno 800 il papa Leone III incorona Carlo “imperatore dei romani” e nasce il Sacro romano Impero.

L’Impero viene diviso in contee, che Carlo affida ai suoi vassalli (conti e marchesi), i quali gli giurano fedeltà. Quando un vassallo muore, l’imperatore lo sostituisce con un’altra persona di sua fiducia. I vassalli possono essere anche religiosi, vescovi e abati.

Per controllare i propri domini Carlo si serve dei missi dominici, che viaggiano nell’Impero e informano l’imperatore su quanto accade. Carlo Magno si occupa anche della diffusione della cultura e fa aprire scuole nei vescovadi e nei monasteri.

Lezione 3

Il feudalesimo

Il rapporto di fedeltà che unisce i vassalli al sovrano viene detto vassallaggio e il territorio assegnato al vassallo è chiamato feudo. Il vassallaggio non regola solo i rapporti tra l’imperatore e i suoi vassalli, ma anche quelli tra tutti i nobili: i vassalli possono avere sotto di sé altri nobili, chiamati valvassori e valvassini.

La società feudale è divisa in tre ordini: il clero, che è il gruppo più importante, oltre a occuparsi di religione ha anche funzioni politiche; l’aristocrazia, che è formata dai capi dell’esercito, dai grandi proprietari terrieri e dai cavalieri; i contadini, che devono coltivare le terre dei signori feudali.

Nel corso del IX secolo i feudi diventano ereditari e passano al primogenito. I figli minori o entrano a far parte del clero o diventano cavalieri senza terra, dediti alla rapina e al brigantaggio. La Chiesa, per limitare queste violenze, affida ai cavalieri compiti come la difesa dei poveri o la lotta contro i musulmani.

VERIFICARE I SAPERI DI BASE

COSTRUIRE LE COMPETENZE